Bello come una prigione che brucia – Domenica 14 febbraio, Piazza dell’Unità
Non sono soli!
DAL 31 GENNAIO AL 7 FEBBRAIO, GIORNATE DI MOBILITAZIONE sotto le carceri dove sono stati trasferiti i 5 detenuti il cui coraggio ha svelato i pestaggi, le vessazioni, le omissioni di servizio e le armi con cui è stata sedata la rivolta nel carcere di Sant’Anna di Modena lo scorso 8 marzo 2020.
Diamo voce al loro coraggio!
Sulla rivolta al carcere di Modena e non solo
UN MESSAGGIO NON RECEPITO
È questa la percezione che abbiamo riguardo a quello che successe neanche un
anno fa nelle carceri italiane. La percezione che, da un lato, in tanti non
abbiano compreso il significato di quei giorni: delle urla sprigionate dai petti
delle persone recluse, del piombo sparato a Modena contro i detenuti in rivolta.
Dall’altro, che non sia stato compreso il significato del successivo coro dei
media, secondo il quale i rivoltosi sarebbero stati pilotati da una regia esterna
(anarchici o mafiosi) e le morti sarebbero avvenute per overdose, dopo l’assalto
alle infermerie delle carceri.
Saluto sotto alla Dozza – Mecoledì 30 dicembre
Aggiornamento sulla strage di Modena
A fine novembre 5 persone detenute nel carcere di Ascoli hanno scritto un esposto alla Procura di Ancona. In questo atto, con grande coraggio, hanno riportato quanto realmente accaduto a marzo nel carcere di Modena e di Ascoli in seguito alle rivolte, in relazione ai pestaggi, agli spari e a alla morte di Salvatore Piscitelli.
Il 10 dicembre sono stati trasferiti nel carcere di Modena. La scelta stessa di questo trasferimento è subito apparsa una forte intimidazione agli occhi di chi, sin da marzo, non aveva creduto alla narrazione delle “morti per overdose”, fossero essi/e parenti o solidali, seppur tra loro sconosciuti/e.
Le condizioni di detenzione in cui hanno tenuto i 5 ragazzi a Modena sono state altrettanto
intimidatorie: in isolamento (sanitario), con divieto di incontro tra loro, in celle lisce con vetri rotti, senza possibilità di fare spesa e di ottenere accredito dei versamenti in tempi utili per poter fare la spesa, senza i loro vestiti e con coperte consegnate bagnate qualora richieste. Immediatamente, all’esterno, si è attivata un’eterogenea rete di solidarietà, costituita da parenti e solidali, che si è mossa su più fronti: sostegno legale, saluti sotto le mura del carcere, lettere, mail di pressione alla direzione del carcere, sollecitazioni ai garanti regionale e nazionale.
Varie testate giornalistiche, a distanza di 9 mesi dal massacro avvenuto nel carcere modenese, hanno riportato i fatti, o si sono trovate costrette a farlo, data la forza della voce dei 5 detenuti e la determinazione di parenti e solidali in loro sostegno. La verità è scomoda da dire e da sostenere, infatti non in tutti i casi è stata riportata per quello che è o è stata detta parzialmente. In un caso, invece, un giornalista è stato licenziato per l’articolo scritto. Molti giornali e media ufficiali, a marzo, avevano riportato senza se e senza ma la voce dei carcerieri: i 14 morti durante le rivolte di marzo, 9 dei quali deceduti a Modena o in trasferimento dal carcere di quella città, erano morti per overdose a loro dire. Ma dei pestaggi e degli spari nessuno aveva parlato.
A detta del carcere di Modena, gli interrogatori dei 5 uomini che hanno fatto l’esposto sarebbero dovuti avvenire lunedì. La realtà è stata diversa: sin da venerdì 18 il procuratore ha svolto gli interrogatori. A questi sono seguiti trasferimenti in differenti carceri. L’intento, ancora una volta, è la frammentazione e l’isolamento.
Una cosa è chiara: la forza e il coraggio di queste 5 persone vanno sostenuti con forza.
La solidarietà, nelle sue molteplici forme, va portata avanti per ridurre l’effetto di questa
frammentazione.
Lanciamo un forte invito a scrivere a tutti loro! Non lasciamoli soli: una lettera, una cartolina, un telegramma! Spezziamo l’isolamento e rafforziamo la solidarietà.
Di seguito gli indirizzi, ad ora conosciuti, delle nuove destinazioni:
Cavazza Belmonte
C.C. Piacenza, Strada delle Novate 65, 29122 Piacenza
Claudio Cipriani
C.C. Parma, Strada Burla 57, 43122 Parma
Ferruccio Bianco
C.C. Reggio Emilia, Via Luigi Settembrini 8, 42123 Reggio Emilia
Francesco D’angelo
C.C. Ferrara, Via Arginone 327, 44122 Ferrara
Mattia Palloni
C.C. Ancona Montacuto, Via Montecavallo 73, 60100 Ancona
SE LE MURA DELLE CARCERI SONO ALTE, SE CON LA DISPERSIONE PROVANO A
DIVIDERE CHI ALZA LA VOCE INSIEME, LA SOLIDARIETÀ LE SUPERA E CI TIENE
UNITE/I.
A nove mesi dalla strage di Stato nelle carceri
A NOVE MESI DALLA STRAGE DI STATO NELLE CARCERI
Durante le rivolte di marzo nelle carceri, lo Stato italiano ha compiuto una strage: 14 detenuti vengono ritrovati morti nelle patrie galere. Tredici di loro dentro i corridoi dei penitenziari di Modena, Alessandria, Verona, Ascoli, Parma, Bologna, Rieti; uno di loro morirà successivamente dopo il ricovero nell’ospedale di Rieti. Non una parola pronunciata dallo Stato su queste morti nel corso dei mesi, nemmeno alle famiglie, avvisate – e forse ad oggi nemmeno tutte – a distanza di tempo, dagli avvocati che seguivano le vicende legali dei propri cari detenuti. Se questi morti ad oggi hanno un nome è per opera di chi individualmente si è attivato per ricercarli e renderli noti.
Quello che si è visto fino a qui, non è che un copione degno delle peggiori dittature: insabbiare l’accaduto, costruire una verità ufficiale rimescolando qualche carta, trovare qualcuno da incolpare (i morti stessi, detenuti e tossici, oppure la regia esterna dei mafiosi, o degli anarchici), far sparire i testimoni o terrorizzarli a morte. Un copione che si è già spesso ripetuto nella storia della democratica Italia: dalle stragi di Stato note, seppur mai ufficialmente riconosciute come tali, alle morti in carcere o nei CPR, da quella di Cucchi sino a quella di Vakhtang Enukidze, ucciso dalla Polizia a gennaio di quest’anno nel CPR di Gradisca d’Isonzo[…]
continua a leggere qui A 9 mesi dalla strage di stato nelle carceri
[…] Per questo motivo non possiamo tacere e ribadiamo ancor più in occasione dell’anniversario della strage di Piazza Fontana, che stragista è lo Stato.
Esprimiamo tutta la nostra solidarietà ad Alfredo ed Anna, compagni anarchici condannati
il 24 novembre nel processo Scripta Manent a 20 e 16,6 anni di carcere, anche con l’accusa di strage, perché ritenuti responsabili di un ordigno alla scuola allievi di polizia di Fossano.
STRAGISTA È LO STATO.
LIBERTÀ DALLE GALERE PER TUTTI/E I/LE DETENUTI/E!
LIBERTÀ PER CHI, CONTRO LA VIOLENZA INDISCRIMINATA DELLO STATO, HA SEMPRE LOTTATO!
PERCHÉ MARCO, SALVATORE, SLIM, ARTUR, HAFEDH, LOFTI, ALI, ERIAL, ANTE, CARLO SAMIR, HAITEM, GHAZI E ABDELLAH E TUTTI GLI ALTRI MORTI PER MANO DELLO STATO NON SIANO DIMENTICATI
Anarchiche e anarchici
Scarica qui il pieghevole da stampare e diffondere:
Aggiornamento sulla situazione in Grecia – Giovedì 17 dicembre
In piazza contro l’accusa di strage – Sabato 12 dicembre
LE STRAGI SONO DI STATO
Oggi e’ il 12 dicembre. Cinquantun anni fa, nel 1969, in una Piazza Fontana piena di lavoratori, pendolari, impiegati, gente comune, scoppiava la prima bomba di Stato.
Da allora le stragi di Stato non hanno mai smesso di susseguirsi: talvolta con clamore – come la strage del 2 Agosto – talvolta ovattate dalla sigla rassicurante del TG che trasmette l’ennesima notizia dell’ennesimo morto sul lavoro, l’ennesimo naufragio nel Mediterraneo, l’ennesimo detenuto suicida o ammazzato di botte (come i 14 morti nelle rivolte nelle carceri di marzo), l’ennesimo morto di Covid.
Lo Stato ha molti modi di manifestarsi ed uccidere: basta incappare nella volante sbagliata al posto di blocco sbagliato, nell’ospedale sbagliato con la malattia sbagliata, nel continente sbagliato con il desiderio di una vita “normale” che porta decine di migliaia di esseri umani a scappare da guerre e stermini perpetrati in nome del profitto… il rischio e’ altissimo.
Del resto e’ proprio questo che determina cosa sia una strage: provocare la morte indiscriminata di innocenti, la cui unica colpa e’ gioco-forza quella di trovarsi tra le file degli sfruttati.
Non tutti pero’ accettano questo orizzonte. Nessuno dovrebbe. Non tutti accettano il rischio di diventare l’ennesimo morto di Stato: qualcuno ha riconosciuto lo Stato come responsabile della violenza indiscriminata a carico degli sfruttati ed ha deciso di chiederne conto. Anna e Alfredo sono compagni rinchiusi in carcere con l’accusa, tra le altre, di strage per un ordigno contro la caserma allievi di polizia di Fossano; Juan, per un ordigno alla sede della lega di Treviso.
Lo Stato stragista accusa i suoi nemici di strage, ribaltando i ruoli in un maldestro e pericoloso tentativo di far dimenticare cosa siano state davvero le stragi dal 1969 ad oggi, e chi ne siano i reali responsabili.
I reali responsabili li abbiamo costantemente davanti agli occhi: portano una divisa, delle toghe, dei costosi soprabiti che fanno bella figura in Parlamento. Chi riconosce come responsabili loro e le strutture di cui fanno parte non compie stragi, perché non colpisce indiscriminatamente chiunque, ma ha l’obiettivo bene a fuoco.
SOLIDARIETA’ AI COMPAGNI ACCUSATI DI STRAGE
La ribellione è l’unica dignità dello schiavo
LA RIBELLIONE È L’UNICA DIGNITÀ DELLO SCHIAVO
Ci vogliono schiavi. Chi non fosse ancora di questa idea o è un cieco o è un’illusa.
Per salvare il sistema economico chi ci comanda sta riducendo la nostra vita all’essenziale: casa e lavoro, perché questo, in definitiva nel capitalismo siamo, consumo e produzione, tutto il resto è accessorio. La salute, il benessere, la dignità, la gioia? Cazzate! Il profitto solo conta e per continuare a ottenerlo c’è bisogno di forza-lavoro schiavile, zitta e obbediente, di automi senza dignità, isolati e senza relazioni.
Il virus ci mostra la verità sul mondo in cui già da tempo vivevamo, ma che le ingiustizie siano la norma e lo sfruttamento la regola alcune persone l’avevano capito da tempo. Uomini e donne che, per restituire dignità alla propria vita, hanno deciso di lottare e non dirsi più schiavi e schiave, ma semmai ribelli.
Lo Stato li chiama terroristi, stragisti, delinquenti, eversivi: un lessico usato per criminalizzare le lotte e per condannare e rinchiudere chi, nelle teorie e nei fatti, mette in discussione il monopolio della violenza da parte degli oppressori.
Negli ultimi anni il movimento anarchico è stato colpito da arresti e inchieste miranti a mettere al bando dalla società il pensiero radicale e la legittimità dell’azione diretta, a criminalizzare la solidarietà e il mutuo appoggio tra ribelli e sfruttati. E quest’autunno in circa 300 si trovano alla sbarra nei numerosi processi che si stanno susseguendo nel più completo silenzio.
Nel mirino degli inquisitori figurano dibattiti e pubblicazioni, relazioni di affetto e di condivisione ideale, iniziative alla luce del sole e al chiarore della luna, azioni di attacco e di resistenza: una lunga storia, mai interrotta del tutto, di amore per la libertà e rabbia contro il Potere, di penna e pistola, pensiero, benzina ed esplosivo. Metodi sulle cui caratteristiche o efficacia si può essere d’accordo o meno, ma che di certo appartengono a pieno titolo al patrimonio da cui chi lotta ha sempre attinto, in qualunque epoca e luogo del pianeta.
Non ci interessa più di tanto sapere se le donne e gli uomini incriminati per queste azioni le abbiano commesse o meno, saremo sempre pronti ad appoggiare chi si trova a fronteggiare quelle ben poco “giuste” strutture che sono tribunali e prigioni.
Vi invitiamo ad un esercizio di libero pensiero, lontano dai condizionamenti del lessico dei Poteri forti (media, divise, giudici in primis): tra un Sistema che opprime, uccide e devasta, con tutti gli apparati e ruoli di responsabilità di cui necessita, e coloro che cercano, in mille modi differenti, di combatterlo… voi da che parte scegliereste di stare?
La violenza strutturale di questa società autoritaria e classista ci è stata sbattuta sfacciatamente, impudentemente sul muso. A questa violenza qualcuno ha cercato e cerca di rispondere, perché una cosa è sicura. Non c’è limite alle sciagure – economiche, sociali, ecologiche – che saremo costretti a subire; nessun limite che non siano la lotta, la solidarietà, il contrattacco. Sprofondare o battersi. È tempo di scegliere.
L’UNICA DIGNITÀ CHE CI RIMANE È NELLA RIVOLTA
E NELLA LOTTA STA QUELLA CHE CI DOBBIAMO PRENDERE
SOLIDALI CON I/LE PRIGIONIERI/E ANARCHICI/CHE