Presidio solidale con Paolo – Lunedì 12 aprile

RIVOLTARSI, CHE ALTRO FARE?!

Lo Stato chiede il conto. Chiede conto delle rivolte di marzo 2020, così come di quelle, di dimensioni più ridotte e di cui solo la cronaca locale ci parla, che hanno continuato a scoppiare da un anno fra carceri e centri per immigrati.

Chi alza la testa va condannato in modo esemplare, perché le colpe di un sistema di internamento e reclusione vanno fatte scontare a chi vi si ribella, non certo a chi ha eretto questo abominio. Ma la diffusione incontrollata del coronavirus è solo la goccia che fa tracimare un vaso pieno da anni.

Sovraffollamento. Tanto se ne parla che lo si da per scontato. Tuttavia passare 20 ore al giorno in una stanza con altre 5-7 persone non è scontato affatto. Privare della libertà e segregare le persone in simili luoghi è una tortura e già di per sé giustificherebbe qualsiasi rivolta.

Igiene. Nelle carceri italiane, compresa la Dozza, oltre al coronavirus, girano liberamente, arginate alla meglio epatiti, scabbia, tubercolosi. Il problema delle infettive in carcere precede da un pezzo la pandemia da coronavirus. A ciò si aggiunga la mancanza di docce ed acqua calda.

Non sarà quindi il vaccino a risolvere la situazione. Il vaccino è una soluzione tecnica, non certo un sinonimo di salute. L’ennesima pezza che permetterà di tornare alla vecchia e malata normalità di prima. Fino alla prossima epidemia.

Medici. In carcere lavorano medici ASL dell’Unità Operativa di Medicina Penitenziaria, Dipartimento Cure Primarie, loro responsabile è Raffaella Campalastri. Sono quelli che nel febbraio 2020 prescrivevano al personale della Dozza di non indossare mascherine per non allertare detenuti e detenute (altra soluzione tecnica!). I detenuti denunciano una loro assenza dalle sezioni, la pressoché impossibilità ad accedere a visite specialistiche, lo smarrimento di cartelle cliniche, l’inadeguata presa in cura di malati cronici o disabili.

Quel che non manca sono invece le tanto usate tachipirine, farmaco buono-per-tutto, dal mal di schiena all’infarto. Ma soprattutto non mancano gli psicofarmaci, diffusi per addormentare le rabbie e le ansie dell’invivibile mondo carcerario. E poi ci si chiede perché qualcuno si sia diretto alle infermerie appena scattata la rivolta? Chi è il primo ad alimentare la dipendenza da sostanze là dentro? Chi prescrive terapie si faccia due domande sul sistema malato che sta assecondando.

Cibo. Ogni giorno pasta, pane e riso. Un sistema immunitario allerta non è proprio a portata dentro il carcere. La dieta ripetitiva si interrompe solo per chi ha i soldi da spendere nel maggiorato listino della spesa interna, oppure per chi riceve spedizioni dai familiari, se li ha.

Guardie. Le guardie picchiano e ormai lo sa chiunque. Non solo però. Creano divisioni all’interno delle sezioni, alimentano regionalismi e spiriti di fazione per meglio stroncare la solidarietà fra detenuti e detenute. Minacciano e denunciano chi non sta a cuccia. E se ciò non funzionasse… volto coperto e stanze senza telecamere. Tanto i medici non refertano, né si faranno sentire.

E allora perché stupirsi delle rivolte di marzo 2020 e di quelle che si susseguono da allora? Voi non avreste fatto lo stesso nella loro situazione? Ma soprattutto dalla loro rabbia e dignità non abbiamo anche noi qua fuori qualcosa da imparare?

Siamo con chi lo Stato mette alla sbarra per non aver abbassato la testa, aver risposto alle angherie delle guardie, alle negligenze dei medici, al disinteresse delle amministrazioni penitenziarie.

Siamo dalla parte di chi si rivolta.

Solidali con tutti e tutte coloro che per non aver abbassato la testa in carcere e nei centri per immigrati si trovano sotto processo.

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