Novembre al Tribolo!

 

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Causeries populaires vol. I – Mercoledì 3 novembre – ANNULLATA!!!

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NÉ COI REAZIONARI, NÉ CON LA REAZIONE – ovvero né coi fascisti né coi collaborazionisti.

Di fronte ai fatti di sabato 9 ottobre, inerenti l’occupazione della sede nazionale della CGIL da parte di una folla arrabbiata capitanata dall’organizzazione neo-fascista Forza Nuova, ogni silenzio o volontà di non vedere quanto accaduto sono provvidi dei pessimi tempi a venire. Parliamoci dunque schietto su un fatto che di qui in avanti non si potrà trascurare e facciamolo fra chi, nel campo rivoluzionario, si fa domande sulle contraddizioni che serpeggiano nelle piazze in subbuglio, conosce bene i propri nemici di classe, si smarca da calcoli politici e nella rabbia non vede un oggetto da governare, ma un contesto dove intervenire per creare un clima accogliente alle proprie istanze di liberazione.

Un sindacato che negli ultimi decenni ha instancabilmente lavorato per la ricomposizione sociale, favorendo le ristrutturazioni che il capitale ha intrapreso e assecondando così il peggioramento inesorabile delle condizioni di vita di lavoratori e lavoratrici, per conto nostro, è un corpo di Stato e, in quanto tale, indegno di solidarietà alcuna. Inutile perder tempo ad argomentare su quanto appena affermato, chi ha occhi per vedere ha ben presente quel che diciamo. Il ruolo storico dei confederali è attualmente quello di un corpo sociale in collaborazione con il padronato. Un ruolo storico che la crisi economica innescata dalla pandemia non ha fatto che confermare. Confindustria si attesta saldamente al governo e imposta il cammino verso la nuova normalità a suon di ricatti dal marzo 2020, con i sindacati che, di fronte alle “cause di forza maggiore” smussano gli angoli e rendono digeribili gli amari bocconi.

Il green pass, al di là della critica alla società del controllo e della discriminazione, non fa eccezione. È infatti un’imposizione dettata dal padronato per scaricare le responsabilità sanitarie su chi lavora, senza investimenti sulla salute e sulla sicurezza nei posti di lavoro, ma anzi avendo una buona scusa per alzare i ritmi e recuperare le perdite; esattamente come le aperture irresponsabili del marzo 2020 o i licenziamenti che si vanno compiendo da quest’estate. Che questo strumento non serva ad assicurare la sicurezza sul posto di lavoro è un dato che chiunque può acclarare, esso infatti non certifica alcuno stato di salute (ammesso e non concesso che un documento che invece lo certificasse possa dirsi legittimo), ma direziona verso l’adesione a un determinato programma di profilassi. Quanto a Confindustria e affiliati importi del reale stato di salute di chi va sfruttando lo si è capito bene nel tempo, vedendo luoghi di lavori divenuti focolai che rimanevano aperti o campagne di screening evase perché troppo costose per le aziende.

Che però proprio i fascisti di Forza Nuova abbiano guidato una folla malleabile verso un obiettivo quale la sede di un sindacato collaborazionista pone problemi notevoli. Se negli anni tali soggetti sono sapientemente stati estromessi dalle lotte era proprio perché simili fatti non venissero a presentarsi. Pratiche infatti su cui di per sé nulla c’è da eccepire, diventano non assumibili se i contenuti che esprimono le significano in senso reazionario. La cacciata di Lama dalla Sapienza il 17 febbraio 1977 da parte degli studenti è un fatto che sentiamo parte del nostro patrimonio rivoluzionario, perché attaccare i traditori di sfruttati e sfruttate è espressione di genuina lotta di classe. Ma i fatti del 9 ottobre per mano dei fascisti, non sono assumibili. Sono infatti l’espressione di un populismo dilagante in grado di governare delle piazze confuse e proprio per questo dimostrano quanto i fascisti utili siano ai padroni, rendendo torbido e sterile il conflitto sociale.

Questo è in fin dei conti il motivo per cui oggetto dell’assedio non sia stata semmai Confindustria, quando mai si è visto dei fascisti prendersela con dei padroni? L’occupazione della sede della CGIL, l’attacco ai picchetti di lavoratori in sciopero, la presenza in strada a fianco dei proprietari di casa contro il blocco degli sfratti o dei commercianti sono fatti che le destre usano per affermarsi politicamente e legittimarsi di fatto agli occhi del padronato con cui saltuariamente millantano l’aperto conflitto.

Se ci chiediamo cos’ha creato il vuoto in cui costoro si sono inseriti dobbiamo, preliminarmente a tutto, ragionare del “mal di Stato” da cui la sinistra e i residui dei movimenti sociali sono afflitti oggi più che mai. Quando le posizioni dello Stato e di Confindustria si distinguono da quelle dei cosiddetti rivoluzionari per trascurabili sfumature sui dettagli della spesa pubblica e quando la direzione che la sinistra di classe asseconda o deliberatamente intraprende è di fatto la stessa segnata dallo Stato nel recupero della sua “normalità”, varrebbe la pena farsi qualche domanda. Le recenti piazze contro il lasciapassare, stanno proprio a dichiarare l’emersione di una contraddizione, tanto interna al sistema quanto a chi pretenderebbe di opporvisi.

Tanto si è battuto sul concetto di responsabilità collettiva, senza lucidità e in modo del tutto ideologico, da non vedere come, nel contesto dell’individualismo neoliberista, un appello del genere avesse conseguenze foriere dell’esatto opposto: una totale deresponsabilizzazione sociale, ben sperimentata per altro durante la fase estiva della campagna vaccinale. Parlare di responsabilità sociale estesa e indistinta, slegata dalle concrete relazioni sociali significa avallare i progetti dello Stato: di fatto l’unico in grado di gestire una tale responsabilità in assenza di una più globale riflessione sul consenso e l’autogestione. Invitare le persone a vaccinarsi, individuando nei farmaci presentati come “vaccini”, la soluzione al problema pandemico, piuttosto che appoggiare la libera scelta, ha di fatto assecondato l’avanzamento della campagna vaccinale promossa dal governo e proiettata verso quanto ci troviamo a vivere: una nuova orribile “normalità” alle porte, che si crede capace di gestire il problema sanitario, senza così intervenire sulle contraddizioni che l’hanno prodotto. Punto a capo, assai irresponsabile insomma.

Responsabilità è un concetto da cui di certo non ci smarchiamo, ma verso chi e per salvare cosa? Un mondo che pretende responsabilità e non concede nulla, che non impara nulla da quanto è successo e non dà segni di cambiamento, non sta chiedendo responsabilità, ma imponendo obbedienza. Coprifuoco, lockdown generalizzati e lasciapassare stanno lì a dimostrarcelo, sono solo un doveroso rafforzamento di questa richiesta di responsabilità dopo tutto.

Si arriva così al punto in cui i fascisti guidano la rabbia dei lavoratori. Non possiamo sperare che questo fatto sarà -nell’affermarsi delle contraddizioni di classe che di qui in avanti si andranno necessariamente imponendo sempre più fortemente- un fattore ininfluente e trascurabile. No signori, quell’assalto ha realizzato un discorso assai problematico, anche solo nell’immaginario, il passaggio delle forze della destra estrema da un semplice piano nazionalista e populista a uno di socialismo nazionale, realizzando nella pratica le note istanze sociali del fascismo della prima ora. Di fronte a una forza politica che non le manda a dire a un sindacato che ormai tanta gente riconosce come collaborazionista, come si potrà controbattere che i fascisti non difendono i lavoratori? Da qui indietro non si torna, o si dimostra qualcosa, sul campo, facendo indietreggiare il fronte padronale, oppure la partita è chiusa.

Che non sia solo questo il problema ne abbiamo consapevolezza. Le difficoltà di azione in cui ci troviamo come soggetti sovversivi sono oggettive e dimostrare coi fatti i nostri discorsi è facile a scriversi, difficile a farsi. Siamo però altrettanto incoraggiati dagli spazi che il discorso pubblico sul tema lasciapassare nell’ambito lavorativo ci può offrire per declinare in un’ottica di classe quel che sta avvenendo, smarcato potenzialmente da ambiguità e confusioni di sorta.

Sarà la dimostrazione delle nostre istanze a far fuori i fascisti dalle strade e non certo il rintanarsi nell’ennesimo “mal di Stato” rappresentato dall’antifascismo dilagante. L’antifascismo si afferma strumento di consenso e mobilitazione ormai da tempo in mano alle istituzioni, capace di accalappiare cittadini comuni e militanti convinti, tutti spaventati dalla rappresentazione del ventennio che risorge via chat. L’antifascismo istituzionale impone una rappresentazione aberrante del conflitto sociale in corso, che con tutte le sue miserie e contraddizioni non può però ridursi all’espressione di una pura ignoranza strumentalizzata dai fascisti. L’ennesimo strumento in mano dei padroni più che valido per tener lontano dalle piazze quanti con camerati vari non vogliono aver nulla a che spartire (e che a differenza loro non rientreranno nei ranghi a comando), ottimo per permettere a sindacati e sinistri vari di zittire definitivamente ogni istanza avversa al green pass.

Così pure parlare di squadrismo, tocca tanto il cuore di ognuno, quanto afferma una menzogna, che la CGIL d’oggi sia paragonabile alla CGdL che negli anni venti fu oggetto della violenza fascista antioperaia, quando è evidente come la prima sia di fatto assimilabile a un organo di governo, mentre la seconda, nelle sue indiscutibili torbidezze, rimaneva un sindacato di classe reduce da un biennio rosso del tutto rimosso dallo sfondo dell’attuale rappresentazione.

Un antifascismo che conduce diritto all’inquietante gioia, così comune e preoccupante, provata da alcuni e alcune di fronte alle azioni repressive che lo Stato compie sui fascisti. Inquietudine peraltro montante vedendo la similitudine fra i capi di accusa di cui le carogne sono fatte oggetto e quelli che molti e molte sovversive sono solite avere a carico: istigazione a delinquere, devastazione e saccheggio, entrambi negli anni fatti oggetto di giuste analisi sui nuovi strumenti repressivi. In generale ci pare che il discioglimento di organizzazioni politiche, il sequestro e la chiusura di spazi virtuali, la censura, al di là del colore che hanno, siano segnali preoccupanti di un tempo inquisitoriale di cui c’è poco da rallegrarsi.

Di solito termineremmo un tale scritto con un appello alla solidarietà con chi si rivolta. Impossibile a farsi stavolta. Chi si fa manipolare dai fascisti, nella sua ingenuità e forse buona fede, ha di certo tutta la nostra compassione, ma non certo solidarietà. Chi invece fascista lo è in modo conclamato ha tutto il nostro disprezzo. Come dar seguito a tal disprezzo e come chiudere gli spazi a costoro l’abbiamo ben chiaro e il patrimonio di cui sopra ce ne fornisce ottimi esempi, senza scomodare sbirri e giudici.

Ribadiamo la solidarietà semmai a chi lotta sul posto di lavoro e fuori, a chi sceglie di resistere all’imposizione del lasciapassare, a chi si organizza per opporvisi, a chi prende una posizione di classe non ambigua e chiara. Noi siamo con loro.

Anarchiche e anarchici di Bologna

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Aggiornamento sulle richieste e le applicazioni della sorveglianza speciale – Bologna

A circa due mesi dall’udienza del 12 luglio il tribunale si è espresso sulla proposta di applicazione della sorveglianza speciale per 7 compagne/i di Bologna: 6 i rigetti e un accoglimento.
Al nostro compagno Guido verrà applicata la sorveglianza per due anni con obbligo di dimora.

A pochi giorni dall’udienza il PM Dambruoso aveva presentato un’integrazione affinché il tribunale si esprimesse non solo, come da richiesta iniziale, sulla “pericolosità qualificata” per reati di terrorismo, ma anche sulla pericolosità generica. Ed è infatti sulla base di quest’ultima che la richiesta è stata accolta.
Stando alle motivazioni, sono le accuse mosse dallo stesso Dambruoso con l’ Operazione Ritrovo ad avere “spiccata rilevanza”, “prova della propensione ad atti di pericolo accentuato per la sicurezza e la tranquillità pubblica”.  Ci si spinge addirittura nel merito di quell’inchiesta da cui, secondo i giudici, “emerge chiaramente” che il nostro compagno “è stato autore dell’incendio al ponte ripetitore, in località Monte Donato, nel dicembre 2018”.

Ad oggi, l’instancabile PM ha già presentato ricorso contro due dei sei rigetti e non escludiamo se ne possano aggiungere altri.

Tutta la nostra solidarietà va alle compagne e i compagni sottoposte/i a questa infame misura e a tutte/i quelle/i colpiti dallo Stato per aver attaccato questo mondo.

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Cena di autofinanziamento – mercoledì 6 ottobre

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Contro la Sorveglianza Speciale – Lunedì 12 luglio

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Contro la Sorveglianza Speciale – Mercoledì 23 giugno

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Presidio fuori dalla Casa Lavoro di Castelfranco Emilia (MO) – Sabato 12 giugno

In soldarietà con Belmonte Cavazza e tuttx lx prigionierx!

Lo Stato delle stragi in mare, nelle carceri, sui posti di lavoro, nelle piazze e nei treni della strategia della tensione si vendica. Lo fa verso compagni/e anarchici/che, accusandoli proprio dell’infamia di strage a seguito di azioni, come l’ordigno alla sede della Lega di Treviso nel 2018, indirizzate a soggetti che invece le stragi le legittimano e le compiono ogni giorno. Lo fa usando i suoi cavilli giuridico-democratici contro chi le atrocità dello Stato le ha raccontate e vissute, confinandolo e etichettandolo come irrecuperabile.

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Sulle richieste di sorveglianza speciale a Bologna

AGGIORNAMENTO AL TESTO “CHI NON MUORE SI RITROVA –

Considerazioni in merito all’Operazione “Ritrovo” sulle richieste di sorveglianza speciale

A un anno di distanza dall’Operazione Ritrovo è arrivata la richiesta di 5 anni di sorveglianza speciale con obbligo di dimora per 7 compagni e compagne indagati in quell’inchiesta. L’ udienza è stata fissata per il 12 luglio.

La mossa ci sembra del tutto in linea con quanto avvenuto tanto nel passato recente (vedi Cagliari e Genova) che in quello più remoto. A fronte del fallimento o del drastico ridimensionamento della portata di un’inchiesta, si tenta di colpire le stesse persone con altri mezzi. L’intento è chiaramente quello di non mollare la presa, indebolire quei contesti in cui pensare e organizzare la critica e l’opposizione a questo stato di cose è una prassi che rimane costante, anche col solo far sentire compagni e compagne costantemente sorvegliati, col fiato sul collo, cercando di metterli sotto pressione.

La sorveglianza speciale e, in modo differente, le misure cautelari “minori” come gli obblighi e i divieti di dimora sono misure tanto subdole quanto infami. Chi ne è colpito è isolato in modo apparentemente molto meno impattante rispetto a provvedimenti più pesanti, come gli arresti. Tuttavia, seppur con mezzi diversi, l’obiettivo dello Stato rimane lo stesso: restringere il campo di chi si muove, togliere di mezzo chi si espone e fungere da monito per chiunque avesse intenzione di farlo. E ci può riuscire tanto con il carcere che con altre, seppur più lievi misure. Quando compagni e compagne spariscono dai contesti in cui lottavano fino al giorno prima, proprio a causa di queste misure, ce ne accorgiamo. E se non ci sorprende che di fronte a esse la risposta solidale non si esprima con lo stesso impeto che di fronte a un arresto, ci preme comunque sottolineare che l’obiettivo a cui mirano è spesso il medesimo: arrestare dei percorsi di lotta. E questo non possiamo permetterglielo.

Ci sembra quindi essenziale innanzitutto collettivizzare il contenuto di tali richieste e auspicare che il dibattito e la resistenza a queste misure si allarghino, data anche la mole di sorveglianze richieste sul territorio nazionale negli ultimi mesi: 4 a Cagliari, 2 a Genova (di cui una attualmente attiva), 1 a Torino, 7 a Bologna (precedute da altre 2 nella provincia, di cui una rigettata e una data).

Per quanto riguarda la struttura di queste richieste ci sembra di poter dire che, in linea con l’inchiesta da cui prendono le mosse, sono decisamente raffazzonate.

Innanzitutto sono misure di sorveglianza richieste non per una pericolosità “generica”, ma per una cosiddetta “qualificata”, ossia destinata a persone indiziate di particolari tipi di reati; nello specifico reati di terrorismo (capo “d” del paragrafo del codice penale sui soggetti destinatari). Ciononostante, il solo reato di terrorismo che emerge dalle carte è quello legato all’Operazione Ritrovo – per cui compagne e compagni sono tutt’ora indagati – che un anno fa ha portato a sette carcerazioni e cinque obblighi di dimora. Quindi, tautologia già vista: il PM prima lancia l’accusa di terrorismo – respinta sia dal Tribunale del riesame che dalla Cassazione seguita all’appello fatto dal PM – e poi usa l’accusa stessa per dimostrare una pericolosità fondata proprio sul terrorismo.

Entrando nel merito del contenuto, le 7 richieste sono piuttosto individualizzate. Tutte quante condividono però un’introduzione comune, che richiama l’ottica preventiva decantata dal PM Dambruoso all’alba dell’Operazione Ritrovo e la concezione repressivo-pandemica secondo cui nel corso dell’ultimo anno si sarebbe verificata un’ «infiltrazione delle anime anarchiche locali all’interno del tessuto sociale al fine di “cavalcare la rabbia”, derivante dalle stringenti limitazioni imposte dal Governo italiano per il contenimento della pandemia Covid-19, ed incanalarla contro le libere istituzioni democratiche»*.

Per qualcuno si cita precipuamente l’essere intestatario dello spazio di documentazione “Il Tribolo” (al cui interno sono stati sequestrati addirittura striscioni e bandiere, da ritenersi dunque a sua personale disposizione), o la partecipazione attiva alla redazione del bollettino anticarcerario OLGa. Per altri l’aver partecipato a livello nazionale o internazionale a cortei e presidi, in particolare nella lotta contro la repressione e in solidarietà a compagni e compagne in carcere.

Non mancano ovviamente passaggi contraddittori. Per qualcuno la pericolosità personale si evincerebbe dal possesso di strumenti informatici di tutela della privacy. Per qualcun’altra dai contenuti (trascrizione di lettere, volantini, resoconti di assemblee) estrapolati da comunicazioni trasparenti, rinvenute su supporti informatici non criptati.

In alcune richieste ci si sofferma più sul “curriculum” militante, a partire dalle prime denunce (superficialmente riportate con inesattezze e refusi); in altre su fatti accaduti nell’ultimo anno, tra cui le manifestazioni di solidarietà ai detenuti in seguito alle rivolte di marzo 2020 e la partecipazione attiva all’Assemblea in solidarietà ai/alle prigionieri/e, oltre che ai contatti epistolari tenuti con questi ultimi, da cui viene tratteggiato per qualcuno un ruolo di “raccordo” a livello nazionale con compagni/e dentro e fuori le galere.

E poi, questo passaggio: «La condivisione delle dinamiche di lotta rivoluzionaria nel campo dell’anti-carcerario e in solidarietà ai detenuti anarchici insurrezionalisti appartenenti alla FAI/FRI» si sposa ideologicamente con «una progettualità eversiva volta a condurre una insurrezione violenta, anche sfruttando e fomentando le rivolte carcerarie»*. L’adesione ideologica sarebbe una condizione per procedere con richieste di misure preventive. Dambruoso lo dice apertamente dall’anno scorso e oggi continua a battere questa strada senza ripensamenti. Il PM, la cui esecrabile carriera nella procura milanese è stata costruita sulla repressione al cosiddetto terrorismo islamico, tenta di seguire oggi le stesse orme contro gli anarchici. E ciò farebbe ridere visti gli scarsi successi, se non fosse che proprio con simili inchieste per terrorismo, il cui fulcro è proprio l’adesione ideologica, lui come altri PM comminano anni di carcere o di misure preventive a destra e a manca.

La controparte attacca, e lo fa con costanza, mantenendo una sorta di “standard punitivo”, come a dire che sotto un certo livello di repressione lo Stato non scende, tanto in termini di anni comminati, che di tipologia di misure dispensate (preventive e non). Se il livello del conflitto si abbassa la repressione avanza o quantomeno non arretra. Proprio perché, lo dicono loro stessi, l’obiettivo è “prevenire”, evitare che tornino gli anni caldi.

E proprio da qui si è pensato di partire. A fronte della loro prevenzione, vogliamo opporre la nostra, organizzando e rilanciando, di fronte a questa ennesima mossa repressiva, lotte e discorsi che essa avrebbe la pretesa di spezzare.

*citazioni dalle richieste di sorveglianza speciale

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Una Repubblica fondata sulle stragi – Mercoledì 2 giugno

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