NÉ COI REAZIONARI, NÉ CON LA REAZIONE – ovvero né coi fascisti né coi collaborazionisti.

Di fronte ai fatti di sabato 9 ottobre, inerenti l’occupazione della sede nazionale della CGIL da parte di una folla arrabbiata capitanata dall’organizzazione neo-fascista Forza Nuova, ogni silenzio o volontà di non vedere quanto accaduto sono provvidi dei pessimi tempi a venire. Parliamoci dunque schietto su un fatto che di qui in avanti non si potrà trascurare e facciamolo fra chi, nel campo rivoluzionario, si fa domande sulle contraddizioni che serpeggiano nelle piazze in subbuglio, conosce bene i propri nemici di classe, si smarca da calcoli politici e nella rabbia non vede un oggetto da governare, ma un contesto dove intervenire per creare un clima accogliente alle proprie istanze di liberazione.

Un sindacato che negli ultimi decenni ha instancabilmente lavorato per la ricomposizione sociale, favorendo le ristrutturazioni che il capitale ha intrapreso e assecondando così il peggioramento inesorabile delle condizioni di vita di lavoratori e lavoratrici, per conto nostro, è un corpo di Stato e, in quanto tale, indegno di solidarietà alcuna. Inutile perder tempo ad argomentare su quanto appena affermato, chi ha occhi per vedere ha ben presente quel che diciamo. Il ruolo storico dei confederali è attualmente quello di un corpo sociale in collaborazione con il padronato. Un ruolo storico che la crisi economica innescata dalla pandemia non ha fatto che confermare. Confindustria si attesta saldamente al governo e imposta il cammino verso la nuova normalità a suon di ricatti dal marzo 2020, con i sindacati che, di fronte alle “cause di forza maggiore” smussano gli angoli e rendono digeribili gli amari bocconi.

Il green pass, al di là della critica alla società del controllo e della discriminazione, non fa eccezione. È infatti un’imposizione dettata dal padronato per scaricare le responsabilità sanitarie su chi lavora, senza investimenti sulla salute e sulla sicurezza nei posti di lavoro, ma anzi avendo una buona scusa per alzare i ritmi e recuperare le perdite; esattamente come le aperture irresponsabili del marzo 2020 o i licenziamenti che si vanno compiendo da quest’estate. Che questo strumento non serva ad assicurare la sicurezza sul posto di lavoro è un dato che chiunque può acclarare, esso infatti non certifica alcuno stato di salute (ammesso e non concesso che un documento che invece lo certificasse possa dirsi legittimo), ma direziona verso l’adesione a un determinato programma di profilassi. Quanto a Confindustria e affiliati importi del reale stato di salute di chi va sfruttando lo si è capito bene nel tempo, vedendo luoghi di lavori divenuti focolai che rimanevano aperti o campagne di screening evase perché troppo costose per le aziende.

Che però proprio i fascisti di Forza Nuova abbiano guidato una folla malleabile verso un obiettivo quale la sede di un sindacato collaborazionista pone problemi notevoli. Se negli anni tali soggetti sono sapientemente stati estromessi dalle lotte era proprio perché simili fatti non venissero a presentarsi. Pratiche infatti su cui di per sé nulla c’è da eccepire, diventano non assumibili se i contenuti che esprimono le significano in senso reazionario. La cacciata di Lama dalla Sapienza il 17 febbraio 1977 da parte degli studenti è un fatto che sentiamo parte del nostro patrimonio rivoluzionario, perché attaccare i traditori di sfruttati e sfruttate è espressione di genuina lotta di classe. Ma i fatti del 9 ottobre per mano dei fascisti, non sono assumibili. Sono infatti l’espressione di un populismo dilagante in grado di governare delle piazze confuse e proprio per questo dimostrano quanto i fascisti utili siano ai padroni, rendendo torbido e sterile il conflitto sociale.

Questo è in fin dei conti il motivo per cui oggetto dell’assedio non sia stata semmai Confindustria, quando mai si è visto dei fascisti prendersela con dei padroni? L’occupazione della sede della CGIL, l’attacco ai picchetti di lavoratori in sciopero, la presenza in strada a fianco dei proprietari di casa contro il blocco degli sfratti o dei commercianti sono fatti che le destre usano per affermarsi politicamente e legittimarsi di fatto agli occhi del padronato con cui saltuariamente millantano l’aperto conflitto.

Se ci chiediamo cos’ha creato il vuoto in cui costoro si sono inseriti dobbiamo, preliminarmente a tutto, ragionare del “mal di Stato” da cui la sinistra e i residui dei movimenti sociali sono afflitti oggi più che mai. Quando le posizioni dello Stato e di Confindustria si distinguono da quelle dei cosiddetti rivoluzionari per trascurabili sfumature sui dettagli della spesa pubblica e quando la direzione che la sinistra di classe asseconda o deliberatamente intraprende è di fatto la stessa segnata dallo Stato nel recupero della sua “normalità”, varrebbe la pena farsi qualche domanda. Le recenti piazze contro il lasciapassare, stanno proprio a dichiarare l’emersione di una contraddizione, tanto interna al sistema quanto a chi pretenderebbe di opporvisi.

Tanto si è battuto sul concetto di responsabilità collettiva, senza lucidità e in modo del tutto ideologico, da non vedere come, nel contesto dell’individualismo neoliberista, un appello del genere avesse conseguenze foriere dell’esatto opposto: una totale deresponsabilizzazione sociale, ben sperimentata per altro durante la fase estiva della campagna vaccinale. Parlare di responsabilità sociale estesa e indistinta, slegata dalle concrete relazioni sociali significa avallare i progetti dello Stato: di fatto l’unico in grado di gestire una tale responsabilità in assenza di una più globale riflessione sul consenso e l’autogestione. Invitare le persone a vaccinarsi, individuando nei farmaci presentati come “vaccini”, la soluzione al problema pandemico, piuttosto che appoggiare la libera scelta, ha di fatto assecondato l’avanzamento della campagna vaccinale promossa dal governo e proiettata verso quanto ci troviamo a vivere: una nuova orribile “normalità” alle porte, che si crede capace di gestire il problema sanitario, senza così intervenire sulle contraddizioni che l’hanno prodotto. Punto a capo, assai irresponsabile insomma.

Responsabilità è un concetto da cui di certo non ci smarchiamo, ma verso chi e per salvare cosa? Un mondo che pretende responsabilità e non concede nulla, che non impara nulla da quanto è successo e non dà segni di cambiamento, non sta chiedendo responsabilità, ma imponendo obbedienza. Coprifuoco, lockdown generalizzati e lasciapassare stanno lì a dimostrarcelo, sono solo un doveroso rafforzamento di questa richiesta di responsabilità dopo tutto.

Si arriva così al punto in cui i fascisti guidano la rabbia dei lavoratori. Non possiamo sperare che questo fatto sarà -nell’affermarsi delle contraddizioni di classe che di qui in avanti si andranno necessariamente imponendo sempre più fortemente- un fattore ininfluente e trascurabile. No signori, quell’assalto ha realizzato un discorso assai problematico, anche solo nell’immaginario, il passaggio delle forze della destra estrema da un semplice piano nazionalista e populista a uno di socialismo nazionale, realizzando nella pratica le note istanze sociali del fascismo della prima ora. Di fronte a una forza politica che non le manda a dire a un sindacato che ormai tanta gente riconosce come collaborazionista, come si potrà controbattere che i fascisti non difendono i lavoratori? Da qui indietro non si torna, o si dimostra qualcosa, sul campo, facendo indietreggiare il fronte padronale, oppure la partita è chiusa.

Che non sia solo questo il problema ne abbiamo consapevolezza. Le difficoltà di azione in cui ci troviamo come soggetti sovversivi sono oggettive e dimostrare coi fatti i nostri discorsi è facile a scriversi, difficile a farsi. Siamo però altrettanto incoraggiati dagli spazi che il discorso pubblico sul tema lasciapassare nell’ambito lavorativo ci può offrire per declinare in un’ottica di classe quel che sta avvenendo, smarcato potenzialmente da ambiguità e confusioni di sorta.

Sarà la dimostrazione delle nostre istanze a far fuori i fascisti dalle strade e non certo il rintanarsi nell’ennesimo “mal di Stato” rappresentato dall’antifascismo dilagante. L’antifascismo si afferma strumento di consenso e mobilitazione ormai da tempo in mano alle istituzioni, capace di accalappiare cittadini comuni e militanti convinti, tutti spaventati dalla rappresentazione del ventennio che risorge via chat. L’antifascismo istituzionale impone una rappresentazione aberrante del conflitto sociale in corso, che con tutte le sue miserie e contraddizioni non può però ridursi all’espressione di una pura ignoranza strumentalizzata dai fascisti. L’ennesimo strumento in mano dei padroni più che valido per tener lontano dalle piazze quanti con camerati vari non vogliono aver nulla a che spartire (e che a differenza loro non rientreranno nei ranghi a comando), ottimo per permettere a sindacati e sinistri vari di zittire definitivamente ogni istanza avversa al green pass.

Così pure parlare di squadrismo, tocca tanto il cuore di ognuno, quanto afferma una menzogna, che la CGIL d’oggi sia paragonabile alla CGdL che negli anni venti fu oggetto della violenza fascista antioperaia, quando è evidente come la prima sia di fatto assimilabile a un organo di governo, mentre la seconda, nelle sue indiscutibili torbidezze, rimaneva un sindacato di classe reduce da un biennio rosso del tutto rimosso dallo sfondo dell’attuale rappresentazione.

Un antifascismo che conduce diritto all’inquietante gioia, così comune e preoccupante, provata da alcuni e alcune di fronte alle azioni repressive che lo Stato compie sui fascisti. Inquietudine peraltro montante vedendo la similitudine fra i capi di accusa di cui le carogne sono fatte oggetto e quelli che molti e molte sovversive sono solite avere a carico: istigazione a delinquere, devastazione e saccheggio, entrambi negli anni fatti oggetto di giuste analisi sui nuovi strumenti repressivi. In generale ci pare che il discioglimento di organizzazioni politiche, il sequestro e la chiusura di spazi virtuali, la censura, al di là del colore che hanno, siano segnali preoccupanti di un tempo inquisitoriale di cui c’è poco da rallegrarsi.

Di solito termineremmo un tale scritto con un appello alla solidarietà con chi si rivolta. Impossibile a farsi stavolta. Chi si fa manipolare dai fascisti, nella sua ingenuità e forse buona fede, ha di certo tutta la nostra compassione, ma non certo solidarietà. Chi invece fascista lo è in modo conclamato ha tutto il nostro disprezzo. Come dar seguito a tal disprezzo e come chiudere gli spazi a costoro l’abbiamo ben chiaro e il patrimonio di cui sopra ce ne fornisce ottimi esempi, senza scomodare sbirri e giudici.

Ribadiamo la solidarietà semmai a chi lotta sul posto di lavoro e fuori, a chi sceglie di resistere all’imposizione del lasciapassare, a chi si organizza per opporvisi, a chi prende una posizione di classe non ambigua e chiara. Noi siamo con loro.

Anarchiche e anarchici di Bologna

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